Una ferita sul lavoro. Sembra che tutti vogliano scappare dal lavoro: gli operai del nord, i disoccupati del sud, gli impiegati pubblici dello stato, gli insegnanti, i medici, gli infermieri, i dipendenti degli artigiani. Il tema del momento è quando andrò in pensione: purché sia presto, anche al costo di perdere qualcosa. Il lavoro è stato dirottato a merce di scambio, non è più un valore. E’ un fastidio, un sacrificio, una fregatura, un problema. Sono finiti i tempi in cui era identità e dignità. Come è possibile recuperare il mito del lavoro, quando la sua immagine è stata distrutta? Quelli che un lavoro ce l’hanno non vedono l’ora di scappare per andare in pensione, perché là c’è la vita. Quelli che non ce l’hanno sognano un reddito senza dignità, altro che cittadinanza. Molti non temono di andare in pensione anche con qualche penalizzazione. Uno spettacolo inguardabile, un veleno anche per i giovani che al lavoro si devono avvicinare. Dobbiamo ridare al lavoro la sua forza di motore del mondo. Dobbiamo farlo tornare ad essere, nella realtà e nell’immaginazione, creatività, piacere, coinvolgimento, produttività, solidarietà, capacità di costruire e non distruggere. Basta con l’idea che il lavoro debba essere sempre e comunque espiazione. Aiutiamolo a tornare ad essere diritto ma anche progetto, un buon posto dove vivere e progredire; mai più una condanna, un dolore, un’inutile fatica, in fondo alla quale non c’è più vita, non c’è nessun paradiso.