Professionalità vuol dire anche restare seduti. Senza mai alzarsi né tenere acceso un cellulare, per oltre due ore, e partecipare attivamente ad un convegno. Soprattutto quando è il giorno più bello della vita perché il TAS (Tribunale arbitrale dello sport) di Losanna gli ha appena comunicato che, ottenendo i tempi minimi, potrà partecipare alle Olimpiadi di Pechino assieme ai cosidddetti normodotati. Lui si chiama Oscar Pistorius, ha solo 21 anni, due protesi al posto delle gambe da quando ha 11 mesi e una saggezza che ne fa un grande uomo e un grande atleta, anche se non dovesse riuscire a bruciare quel secondo che gli manca per essere ammesso alla qualificazione. Da tempo sull’agenda avevo sottolineato il 16 maggio come data fissata per la mia moderazione ad un incontro organizzato da Vedior, agenzia specializzata nella gestione delle risorse umane (e particolarmente impegnata nella collocazione professionale delle persone disabili con una divisione chiamata HOpportunities), che era riuscita ad aggiudicarsi la presenza di Pistorius. Non a caso, infatti, l’incontro – dal titolo“Verso il successo con una determinazione da Oscar”- voleva richiamare l’attenzione sui quattro fattori (orientamento al risultato, forza, tenacia, determinazione), che sono fondamentali ad ogni individuo come ad ogni azienda per raggiungere gli obiettivi. In passato non ricordo di essermi emozionata nel corso delle mie numerose moderazioni. Partecipazione, condivisione, indignazione…sì, certo. Ma l’emozione, quella che ti fa inciampare nel filo dei concetti e ti fa pensare di essere una privilegiata perché sei lì, in quel preciso momento storico, no, quella non l’ho provata prima di quel venerdì pomeriggio a Milano, in una sala gremita di persone, a fianco di un ragazzo che si faceva tradurre scrupolosamente ogni parola dall’interprete seduto dietro di noi e poi, a sorpresa, estraeva dalla sua sacca le protesi da gara. Quelle cheetah viste tante volte in tv, sui giornali di tutto il mondo, e sulle quali si erano versate parole e parole da addetti ai lavori e non. Spesso riducendo l’uomo Pistorius ad un paio di arti artificiali.Quella mattina mi ero alzata con la consapevolezza che avrei incontrato un mito dei nostri tempi, e ripensavo quante volte ero stata delusa nel conoscerne qualcuno di persona. Ma la giornata prese subito una piega strana: il destino volle che proprio in quella data, alla medesima ora e nello stesso hotel in cui Vedior aveva fissato l’incontro, si rendesse nota la decisione del TAS. Così, in una conferenza stampa alle 15, con l’atleta sudafricano seduto fra i suoi legali e il suo manager, venimmo a sapere che i disabili e lo sport avevano vinto la loro più grossa battaglia. Non appena i giornalisti e i fotografi lo lasciarono libero, annunciai Oscar Pistorius. Lui entrò, mi schioccò due baci sulle guance e si sedette. E, come ho già detto, restò così per tutto il tempo dell’incontro, competente e scupoloso nel raccontare la sua storia (quante volte hai visto questo video, gli bisbigliai mentre di spalle, senza neppure girarsi, commentava ogni fotogramma. “Centinaia… mi disse ridendo di gusto”…).
Ma la sua serietà nel lavoro si dimostrò ancora maggiore. Alla domanda “Se oggi, malauguratamente, la risposta fosse stata negativa, tu avresti comunque partecipato al convegno di Vedior?”. La risposta non ha bisogno di commenti. “Ieri col mio manager ne abbiamo parlato. Ma io ho risposto subito di sì: avevo preso un impegno professionale e, comunque fosse andata, io oggi sarei stato qui”.
* Giornalista, presidente Creeds (Comunicatori, redattori ed esperti del sociale)