30.04.2008
Risposta alla mamma di due giovani: ecco ciò che serve fare, ora

di Walter Passerini

Mi scuso se abuso della rubrica, di solito riservata a ospiti e invitati “speciali” esterni, per rispondere alla mamma che mi ha scritto alcuni giorni fa per sollecitare un maggior investimento dalla parte dei giovani. In generale sono d’accordo, ma credo anche che non bastino investimenti e risorse, se prima non si compie una riflessione di tipo culturale sulle giovani generazioni. Chi sono i giovani oggi? Di che problemi soffrono? E quali sono le differenze tra i giovani di oggi e quelli delle precedenti generazioni?

  1. Vi è innanzitutto una differenza abissale tra i giovani di oggi e i giovani delle precedenti generazioni. Ricordo mio nonno e mio padre che a 18-20 anni erano già adulti, spesso con una famiglia da mantenere e un lavoro più o meno sicuro (non esisteva lo Statuto dei lavoratori). L’età della responsabilità e della famiglia era molto bassa. Oggi i giovani stentano a entrare nel mondo del lavoro stabile e quindi a progettare un futuro di maggiore sicurezza. E per la prima volta vedono spegnere la loro spinta alla promozione sociale e sono quasi del tutto sicuri che la loro vita non sarà probabilmente migliore di quella dei loro padri.
  2. Un secondo problema è la natura della crisi dei giovani. E’ una crisi di tipo culturale, è una crisi di senso e significati da assegnare alla vita e al lavoro, al presente e al futuro. Vi è “un deserto del senso”, come dice Umberto Galimberti nel bel libro “L’ospite inquietante”. Una difficoltà a vivere e a pensare al futuro come promessa anziché come minaccia. E’ un problema di identità difficile, di appartenenze quasi solo da consumo, in un mondo ridotto quasi esclusivamente a mercato. Per questo i giovani vivono il presente, perché sono in ansia per il loro futuro.
  3. La lotta alla precarietà è quindi necessaria, ma, per non essere ripetuta stancamente come un “mantra”, va declinata all’interno di questa crisi, perché le identità da lavoro non sono più quelle di una volta, perché il lavoro per i giovani è diverso, sotto qualunque forma appaia, di quello vissuto e sperimentato dai nostri genitori e da noi stessi.
  4. Una delle leve fondamentale del nuovo lavoro è quella del ritrovato rapporto tra formazione e impiego. Sicuramente su questo punto non si può continuare a ripetere che i giovani devono studiare, quando la domanda di lavoro è ancora molto bassa e quando l’impatto con il lavoro non valorizza i titoli di studio conquistati. Una revisione dei sistemi di offerta diventa necessaria. Il valore dello studio va riconfermato, alzando il livello della domanda, aiutandola a migliorare in quantità e qualità, in ricerca e innovazione.
  5. La questione del lavoro dei giovani diventa un tutt’uno con la questione previdenziale. E’ su questo punto che la responsabilità degli adulti si deve esercitare, attraverso quella generosità che dovrebbe caratterizzare ogni classe dirigente. Per le leve demografiche degli anni Ottanta e che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 la questione previdenziale diventa drammatica. Avremo a partire dal 2030-35 un impatto negativo da parte dei giovani che usciranno dal mercato del lavoro, ma che non avranno una pensione dignitosa. Il problema va affrontato ora e non nell’emergenza.

So che quello che frettolosamente le propongo non è sufficiente e che lei resterà insoddisfatta. Ma ho voluto solo riepilogare i termini che a me sembrano impellenti di una questione che ci accompagnerà nel tempo. Dobbiamo affrontarla ora, qui e subito. Altrimenti alleveremo le nuove generazioni con il veleno del rancore, dell’angoscia, dell’impotenza. Un combustibile micidiale che può portare a esplosioni e disaffezioni. Parliamone. Stiliamo un pro-memoria, un “manifesto” dalla parte delle giovani generazioni.