08.04.2008
Lisbona addio? Senza crescita impossibile creare nuovi posti

Gli obiettivi tracciati dalla Conferenza europea di Lisbona nel marzo 2000 sono ancora validi, ma il contesto è cambiato. Allora non c’erano segnali di recessione, anche se un anno e mezzo dopo arrivò l’attacco alle Torri gemelle a New York. Oggi i segnali di recessione sono evidenti: l’ultima stima di crescita del Pil per l’Italia è dello 0,3%, ma anche gli altri Paesi non se la passano bene. In un contesto così radicalmente cambiato, hanno ancora valore gli obiettivi di Lisbona? Credo di sì, e non solo come traguardo ideale, ma come target da raggiungere nel più breve tempo possibile. La difficoltà consiste nel tenere insieme le politiche per lo sviluppo e le politiche per il lavoro e l’occupazione. Non si tratta tanto di stabilire il primato della crescita economica, ma di puntare su quella crescita economica che, oltre ad aumentare la ricchezza nazionale, punti anche sull’aumento dell’occupazione. Come?
In Italia vi è un tasso di inattività troppo elevato. Sono troppo poche le persone che lavorano. Su 59 milioni di abitanti, 23-24 milioni di occupati ufficiali sono pochissimi. Tanto è che il nostro tasso di occupazione è del 58,6%. Secondo i target di Lisbona dovrebbe arrivare al 70%. E’ vero che, guardando dentro i dati, l’occupazione maschile supera già da tempo il 70%, mentre quella delle donne non arriva al 47%. La prima questione evidente è quindi quella dell’occupazione femminile: come arrivare all’obiettivo del 60%? La seconda è quella di un’occupazione territoriale squilibrata: il Nord e il Centro superano spesso i target, il Mezzogiorno è completamente fuori gioco. Che fare?
L’altro grande target di Lisbona è poi rappresentato dai giovani. In Italia solo un giovane su quattro lavora: come migliorare questo dato? I giovani si laureano troppo tardi, nonostante le lauree triennali, ancora a 27 anni. E circa 200mila giovani ogni anno escono dal sistema formativo senza alcun titolo o qualifica. Senza contare sull’esercito dei 20-35enni intrappolati in gran parte nel lavoro temporaneo. Infine, l’altro target fondamentale, che rappresenta un fattore di allarme sociale estremo, è costituito dagli “over 50”, diventati ormai “over 40”. Oggi solo tre “over 55” su dieci lavorano. L’obiettivo di Lisbona è quello del 50%. Ci arriveremo? Quando? E come?
Vorrei che al di là dei target di Lisbona si discutesse di lavoro, sviluppo, occupazione in modo pragmatico. Certo, è vero. I dati sono spesso contraddittori. Non abbiamo ancora un monitoraggio attendibile su quello che è successo nell’occupazione negli ultimi dieci anni. Abbiamo creato molti posti di lavoro, ma la loro qualità va ancora misurata. La produttività è scesa. La flessibilità viene spesso declinata come precarietà, anche perché mancano ammortizzatori sociali, servizi al lavoro e un sistema di tutele minime di cittadinanza per tutti. Molto s’è fatto ma molto resta ancora da fare. Bisogna cambiare approccio, mentalità. Se la bassa crescita non riuscirà a creare molti posti di lavoro, a maggior ragione bisogna far tesoro del nostro slogan, del nostro credo: dal lavoro dipendente al lavoro intraprendente. Non aspettare che qualcuno risolva dall’esterno i nostri problemi, ma provare a costruire, cominciando da sé, i nostri progetti personali e professionali.