14.05.2018
Una strana domanda: ma che cosa è per voi il lavoro?

Per molti il lavoro è un mezzo che permette di vivere, uno stipendio. Per altri un modo per esprimere la propria personalità, i propri progetti. Per altri ancora il lavoro è sacrificio, pena, espiazione; oppure è la leva che solleverà il mondo e farà vincere la lotta di classe. Il pensiero sul lavoro è diverso tra padri e figli: i primi ne hanno fatto una bandiera, la fonte dell’identità e della dignità; per i secondi il lavoro è precarietà, difficoltà, disagio. I padri lo hanno vissuto come palestra della professionalità; i figli stanno sperimentandone la sua aleatorietà, pur possedendo un ampio bagaglio di competenze. E’ difficile oggi rappresentare il lavoro, che è proteiforme, che sfugge alle classificazioni, che è diverso a seconda delle culture, dell’età, della terra in cui si nasce e si vive. Quel che rimane del lavoro è spesso la sua riduzione a merce di scambio, a strumento, a mezzo per la sopravvivenza, a misuratore del successo, unico termometro per dare un senso alla vita. Ma è davvero così? Il lavoro appartiene alla sfera dell’umano prima ancora che dell’economico, dell’etica prima ancora che della filosofia della vita quotidiana. Chiediamo e chiediamoci perché il lavoro da dignità e piacere è diventato differenza e dolore. Perché i recruiter, i selezionatori non chiedono ai candidati che cosa è il lavoro? Forse perché sanno quale abisso vi sia tra ciò che propongono e ciò che i candidati in cerca di lavoro desiderano.
(da La Stampa, 14 maggio 2018)