29.12.2011
La guerra del talento è stata soffocata dalla retorica del potere
  1. La guerra dei talenti è “scoppiata”: uno tsunami di parole l’ha disinnescata inglobandola nella retorica del merito. Si conferma la legge dell’annullamento semiotico, dove le troppe parole e la loro scarsa, se non nulla, messa in pratica cancellano la concretezza dei fenomeni e li riducono a comparse della mediaticità. Come rimontare il cammino?
  2. In un paese preda della gerontocrazia è impossibile praticare la meritocrazia, senza scardinarne i principi e le istituzioni malate. Se un recente rapporto ci ricorda che l’età media della classe dirigente italiana è di 59 anni, con punte di over 65-67 nella politica, nell’economia e nell’accademia, “rien ne va plus”. Basti come pietra tombale ricordare che su 16mila professori ordinari in Italia vi sono tre under 35 e 78 under 40.
  3. Mentre gli altri paesi, e non solo dell’area Ocse, lanciano alla ribalta e al potere nuove generazioni di 30-40enni, nel nostro piccolo mondo antico chi comanda si guarda l’ombelico e cerca di sopravvivere al di là del bene e del male. Il risultato è un paese che ha perso vitalità, dinamismo, ricambio e che, come tutte le società castali e chiuse, marcia verso l’entropia.
  4. Allora serve una scossa. Dopo la parentesi del governo tecnico, la politica, per prima, deve dare un esempio di discontinuità, mettendo in ruolo, in modo prudente, poi sempre più deciso, le nuove classi dirigenti dell’amministrazione e del governo della cosa pubblica. La nuova polis si costruisce con nuove energie e nuove facce. La stragrande maggioranza di quelle che conosciamo hanno decretato fallimento.
  5. Nelle imprese idem. Con un’avvertenza. I sistemi previdenziali trattengono più a lungo sui luoghi di lavoro tutte le risorse, buone o meno buone che siano. Questo impone una capacità di gestione delle diverse età delle persone, cambiando l’acqua, e quindi ringiovanendo, senza buttar via con l’acqua sporca l’esperienza. Sono troppe le aziende che nel passato, inseguendo una moda giovanilistica e un’ossessiva riduzione dei costi, hanno cacciato i senior esperti, per poi richiamarli in servizio come consulenti per manifesta incapacità di continuare il lavoro e il business.
  6. L’annullamento della parola talento, che significa “peso” e “unità di misura”, cioè valore, è stato lo stigma del giovanilismo, che ha fatto male ai giovani. Attribuire al presunto talento capacità da marziano, triple lauree, quadrupli master e conoscenza di sette lingue, ne ha annullato il valore, con buona pace dei gerontocrati che hanno continuato a governare. Il talento è una virtù che non ha età. Se si parla di talento da importare, significa che all’interno dell’azienda nessuno è talento, e la motivazione va sotto i piedi.
  7. Infine, non esiste talento se non vi è sanzione. Se un sistema è ostico alla valutazione, è impossibile scoprire il talento. Un paese che non sa premiare è incapace di punire. Il binomio premi-punizioni è stringente. Se nessuno mai paga, se non vi è un trasparente sistema di punizioni, non vi può essere alcun premio al merito. E addio al talento!